Catilinarie (Traduzione libera in Italiano) Liber II, 9-10-11

TESTO LATINO

Atque ut eius diversa studia in dissimili ratione perspicere possitis, nemo est in ludo gladiatorio paulo ad facinus audacior, qui se non intimum Catilinae esse fateatur, nemo in scaena levior et nequior; qui se non eiusdem prope sodalem fuisse commemoret. Atque idem tamen stuprorum et scelerum exercitatione adsuefactus frigore et fame et siti et vigiliis perferundis fortis ab istis praedicabatur, cum industriae subsidia atque instrumenta virtutis in lubidine audaciaque consumeret. Hunc vero si secuti erunt sui comites, si ex urbe exierint desperatorum hominum flagitiosi greges, o nos beatos, o rem publicam fortunatam, o praeclaram laudem consulatus mei! Non enim iam sunt mediocres hominum lubidines, non humanae ac tolerandae audaciae; nihil cogitant nisi caedem, nisi incendia, nisi rapinas. Patrimonia sua profuderunt, fortunas suas obligaverunt; res eos iam pridem deseruit, fides nuper deficere coepit; eadem tamen illa, quae erat in abundantia, lubido permanet. Quodsi in vino et alea comissationes solum et scorta quaererent, essent illi quidem desperandi, sed tamen essent ferendi; hoc vero quis ferre possit, inertes homines fortissimis viris insidiari, stultissimos prudentissimis, ebriosos sobriis, dormientis vigilantibus? qui mihi accubantes in conviviis conplexi mulieres inpudicas vino languidi, conferti cibo, sertis redimiti, unguentis obliti, debilitati stupris eructant sermonibus suis caedem bonorum atque urbis incendia. Quibus ego confido impendere fatum aliquod, et poenam iam diu improbitati, nequitiae, sceleri, libidini debitam aut instare iam plane aut certe adpropinquare. Quos si meus consulatus, quoniam sanare non potest, sustulerit, non breve nescio quod tempus, sed multa saecula propagarit rei publicae. Nulla est enim natio, quam pertimescamus, nullus rex, qui bellum populo Romano facere possit. Omnia sunt externa unius virtute terra marique pacata; domesticum bellum manet, intus insidiae sunt, intus inclusum periculum est, intus est hostis. Cum luxuria nobis, cum amentia, cum scelere certandum est. Huic ego me bello ducem profiteor, Quirites; suscipio inimicitias hominum perditorum; quae sanari poterunt, quacumque ratione sanabo, quae resecanda erunt, non patiar ad perniciem civitatis manere. Proinde aut exeant aut quiescant aut, si et in urbe et in eadem mente permanent, ea, quae merentur, expectent.

TRADUZIONE LIBERA IN ITALIANO
E per farvi un’idea della sua varietà in diverse aree, non esiste un gladiatore un po’ più spericolato nell’azione che non ammetta di essere legato a Catilina.; sulla scena non esiste attore un po’ più ambiguo e depravato che non dichiari di essere quasi un suo compagno. E Catilina, addestrato dall’esercizio di brutalità e scelleratezze a resistere al freddo, alla fame e al sonno (lett. sopportare le veglie-nottate), si è conquistato la fama di duro proprio tra questi soggetti, spendendo le risorse del suo dinamismo e le sue forze interiori nella libidine e nel crimine. Se i suoi correi gli fossero andati dietro, se le ignobili squadre di questi disperati avessero abbandonato l’Urbe, che felicità per tutti noi, che fortuna per la Repubblica e che magnifica gloria per il mio consolato! Invero, le loro passioni superano ormai ogni misura; la loro spudoratezza non è umana e tollerabile; non pensano ad altro che a stragi, incendi e ladrocini. Hanno scialacquato ricchezze,hanno gravato d’ipoteca i loro beni; da tempo hanno perso averi, adesso cominciano a perdere il credito; ma resta in loro quella frenesia di godere che avevano nell’eccesso (nell’abbondanza). Se nel vino e nel divertimento non tentassero di trovare che baccanali e prostitute, sarebbero dei casi disperati, ma ciononostante tollerabili; in verità però, chi sarebbe in grado di sopportare che degli incapaci congiurino contro uomini più validi, i più sciocchi contro i più
Saggi, gli sbronzi contro i sobri, gli addormentati contro i vispi? Coloro che bazzicano nei conviti, che stanno stretti a donne senza pudore, che si rammolliscono nel vino, gonfiati di cibo,  incoronati di serti, cosparsi di unguenti, sfiancati dall’accoppiamento, rigurgitano a parole che è necessario sterminare cittadini onesti e dare fuoco all’Urbe. Sono convinto che sulla loro testa incomba un tragico destino e che sia prossimo o a dir poco si stia approssimando quella punizione che da tempo hanno meritato per la loro disonestà, smoderatezza, criminalità  e depravazione. Se il mio consolato, dal momento che non gli è possibile farli ravvedere, li cancellerà,  allungherà la vita della Repubblica non per un breve periodo ma di centinaia di anni. Invero, non esiste alcuna nazione che ci preoccupa, non esistere re che sia all’altezza di fare guerra al popolo romano. Ogni cosa che è all’esterno è in pace, per terra e per mare, in virtù del valore di un solo uomo; resta la guerra civile, dentro le mura stanno i complotti, è all’interno,  dentro c’è il pericolo. È necessario combattere contro il vizio, contro la pazzia, contro il crimine. È questa guerra, Quiriti,  che mi impegno a portare avanti, mettendomi esposto all’odio di uomini persi; guarirò in qualunque modo tutto ciò che potrà essere sanato; non consentirò che resti a danno della cittadinanza quelle cose che vanno troncato nettamente. Pertanto, se ne vadano o se ne stiano calmi,o, se restano nell’Urbe e non cambiano proposito, attendano quel che si meritano.

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