TESTO LATINO
Sed cur tam diu de uno hoste loquimur, et de eo hoste, qui iam fatetur se esse hostem, et quem, quia, quod semper volui, murus interest, non timeo; de his, qui dissimulant, qui Romae remanent, qui nobiscum sunt, nihil dicimus? Quos quidem ego, si ullo modo fieri possit, non tam ulcisci studeo quam sanare sibi ipsos, placare rei publicae, neque, id quare fieri non possit, si me audire volent, intellego. Exponam enim vobis, Quirites, ex quibus generibus hominum istae copiae comparentur; deinde singulis medicinam consilii atque orationis meae, si quam potero, adferam.
Est mihi tanti, Quirites, huius invidiae falsae atque iniquae tempestatem subire, dum modo a vobis huius horribilis belli ac nefarii periculum depellatur. Dicatur sane eiectus esse a me, dum modo eat in exilium. Sed, mihi credite, non est iturus. Numquam ego ab dis inmortalibus optabo, Quirites, invidiae meae levandae causa, ut L. Catilinam ducere exercitum hostium atque in armis volitare audiatis, sed triduo tamen audietis; multoque magis illud timeo, ne mihi sit invidiosum aliquando, quod illum emiserim potius quam quod eiecerim. Sed cum sint homines, qui illum, cum profectus sit, eiectum esse dicant, idem, si interfectus esset, quid dicerent? Quamquam isti, qui Catilinam Massiliam ire dictitant, non tam hoc queruntur quam verentur. Nemo est istorum tam misericors, qui illum non ad Manlium quam ad Massilienses ire malit. Ille autem, si mehercule hoc, quod agit, numquam antea cogitasset, tamen latrocinantem se interfici mallet quam exulem vivere. Nunc vero, cum ei nihil adhuc praeter ipsius voluntatem cogitationemque acciderit, nisi quod vivis nobis Roma profectus est, optemus potius, ut eat in exilium, quam queramur.
TRADUZIONE LIBERA IN ITALIANO
Tuttavia Quiriti è mia convinzione che valga la pena di subire il turbine di un’impopolarità falsa e iniqua, a patto che sia allontanato da voi il pericolo di una guerra orribile e blasfema. Si dia pure la colpa a me dell’averlo scacciato, a patto che vada in esilio. Ma credetemi, non prenderà la via dell’esilio; non pregherò gli dei immortali, per togliermi l’impopolarità, che voi siate messi a conoscenza che Lucio Catilina si trova alla testa dell’esercito nemico e circola armato, tuttavia nello spazio di tre giorni vi arriverà questo annunzio (tali cose ascolterete); di una cosa, comunque, ho molto più timore, di ricevere il pubblico biasimo perché ho consentito che partisse, non perché l’ho mandato in esilio. Ma se esistono uomini capaci di affermare che io l’ho bandito, quando invece è partito senza impedimenti, cosa direbbero se fosse stato ucciso?
In fondo, coloro che ritengono che Catilina è diretto a Marsiglia sono più impensieriti che amareggiati. Nessuno di loro sente tanta misericordia da preferire che si muova verso Marsiglia piuttosto che da Manlio! Quanto allo stesso Catilina, anche se non avesse mai architettato quello che sta facendo, certamente preferirebbe morire da bandito che vivere da esiliato. Ma in questo momento, non essendogli accaduto nulla che fosse contrario ai suoi propositi e ai suoi piani, se non partire da Roma, lasciandomi in vita, auspichiamoci che vada diritto in esilio e non rimpiangiamocene (lamentiamocene)
Ma per quale ragione parliamo tanto a lungo di un solo nemico, per di più un nemico che si dichiara nemico e di cui non ho timore, dal momento che, come ho sempre desiderato, ci tiene divisi un muro? Piuttosto per quale ragione non spendiamo alcuna parola (diciamo nulla) di questi altri che si mimetizzano, che restano a Roma, che stanno fra di noi? Se esistesse una possibilità, vorrei farli guarire (liberarli dal male), pacificarli con la Repubblica; e ritengo che ce la farei, se loro avessero intenzione di ascoltarmi. Vi esporrò dunque, Quiriti, da quale genere di uomini si compongono le forze di Catilina; in seguito, per quanto possibile, distribuirò a ognuno la medicina del mio pensiero e del mio discorso.