Titolo: Uomini di Dio
Genere: Drammatico
Origine/Anno: Francia – 2010
Regia: Xavier Beauvois
Sceneggiatura: Xavier Beauvois, Etienne Comar
Interpreti: Lambert Wilson, Jacques Herlin, Philippe
Laudenbach, Michael Lonsdale, Jean-Marie Frin
Montaggio: Marie-Julie Maille
Scenografia: Michel Barthelemy
Fotografia: Caroline Champetier
Giudizio: 8
Trama: in un villaggio algerino sorge un convento di monaci cristiani, perfettamente integrato con la comunità locale. La quiete del villaggio viene però turbata da fatti di sangue compiuti da integralisti islamici, che mettono a repentaglio anche la sicurezza dei monaci. Questi ultimi si interrogano allora sul da farsi: andarsene o rimanere al convento rischiando di essere uccisi? Sceglieranno di rimanere.
Recensione – Film importante e difficile; materia delicata e quanto mai attuale, maneggiata con cautela e senza inciampi da Beauvois. Film asciutto, lento, intimo; documento spietato dei crimini che possono essere compiuti in nome di una fantomatica fede religiosa ed al tempo stesso crudo ritratto del tormento spirituale che può derivare dalla fede stessa. Film complesso e composito che si snoda narrativamente attraverso una riflessione politica iniziale, sullo spaccato di una comunità abitata da persone di fede diversa ma perfettamente integrate tra loro, ed una riflessione religiosa, in cui si inserisce la vicenda umana dei monaci, che farà da sfondo alle fasi successive del film.
Anzitutto la riflessione politica. La popolazione musulmana di un villaggio algerino vive in piena sinergia con un gruppo di monaci di un convento cristiano, che rappresentano una risorsa fondamentale per la comunità locale garantendo assistenza medica (il convento è l’unico presidio sanitario della zona), sostegno nella coltivazione dei campi e rappresentando un costante punto di riferimento e confronto per la comunità stessa. Quasi una sorta di sincretismo tra le due culture e le rispettive religioni consente a cristiani e musulmani di convivere pacificamente, condividendo gli stessi spazi, così come ai Fioretti di San Francesco ed al Corano di rimanere aperti sul medesimo tavolo di lavoro, quello di Christian, capo dei monaci e studioso di testi sacri.
Ma la riflessione religiosa e la vicenda umana dei monaci prendono il sopravvento quando sulla comunità si affaccia minaccioso lo spettro dell’integralismo islamico. La quiete della comunità comincia allora ad essere scossa dai primi fatti di sangue. La situazione precipita quando i croati che lavorano in un vicino cantiere vengono trucidati dagli integralisti. La sicurezza dei monaci è ora a repentaglio. Bisogna prendere una decisione: andarsene o rimanere. È qui che interviene una fase di acuto tormento nel gruppo di monaci, dapprima spaccato sulla possibilità di restare o
partire, quindi compatto nel voler continuare la propria missione al convento: a che servirebbe la religione se dovesse indietreggiare di fronte alle armi? Inoltre, la vera missione di chi ha già donato la propria vita a Dio non può certo essere quella di preservarla con la fuga.
Il destino inesorabile è però dietro l’angolo. Il ritorno di un confratello dalla Francia, che porta con sé ostie, una lettera e del formaggio, segna un effimero momento di speranza, dietro il quale si nasconde un timore che diventa sempre più consapevolezza dell’ineluttabile risvolto tragico. Così, anche gli attimi di serenità regalati dalla presenza di due bottiglie di vino e da un brano di musica inserito nel mangianastri per la cena lasciano l’amaro in bocca e ci mostrano, in un susseguirsi di primissimi piani che si soffermano sui volti e sugli sguardi smarriti dei monaci, la trasformazione della gioia in dolore, della speranza in sgomento. Non a caso, la musica è Il lago dei cigni di Tchaikovsky, che se da un lato rievoca un’ancestrale idea di focolare domestico per il richiamo alla tradizione musicale ed alla cultura occidentale, dall’altro appare presagio di morte. Uomini di Dio è un film parlato, dove i dialoghi e i monologhi contano: ricostruiscono dubbi e angosce dei protagonisti, scandiscono delicati passaggi interiori e fanno da chiusa alle riflessioni finali dei monaci ormai prigionieri dei loro carnefici: ad uccidere non è la comunità musulmana, non è la religione islamica, ma uno sparuto drappello di integralisti che ha travisato l’essenza stessa del Corano.
Merita, da ultimo, di esser ricordata l’inquadratura in cui i monaci vengono sospinti verso il martirio; una sorta di via della croce, di cammino alla volta del Golgota che vede la colonna di monaci ed integralisti allontanarsi nella neve perdendosi nella nebbia dell’orizzonte in una naturale dissolvenza.
Presentato in concorso a Cannes 2010 (Gran Prix du Jury), è tratto da un fatto di cronaca avvenuto in Algeria nella seconda metà degli anni ’90.