“Rari nantes, in gurgite vasto”, ovvero “pochi nuotano in un vasto vortice”. Si tratta di un’espressione latina tratta dall’Eneide di Virgilio che mi sembra la più calzante per descrivere l’attuale situazione politica soveratese da qualche tempo in fibrillazione in vista delle prossime comunali. Nel vortice delle ambizioni, delle buone idee, dei progetti, degli accordi sembrano veramente pochi quelli che riescono a stare a galla senza venire risucchiati nel fondo . Vero è però che un aspetto positivo in questi mesi è emerso. Infatti c’è chi ha pensato di presentare un programma mettendo in primo piano le cose che dovrebbero fare per la città i prossimi amministratori. In alcuni casi si è trattato di un’iniziativa individuale, in altri casi il programma è nato attraverso un più completo percorso di discussione e partecipazione. E’ stato un impulso lodevole perché sta consentendo ai cittadini di confrontarsi su ipotesi programmatiche. Non si è parlato però, o forse si è tralasciato di farlo in maniera strategica in attesa di eventuali consensi o alleanze, di una questione importante che costituisce un aspetto non irrilevante per il futuro politico della città. Innanzitutto sarebbe opportuno chiarire un punto che evita il rischio di candidature frutto di ambizioni politiche legittime ma comunque non utili per la città. Il sindaco che verrà – ritengo debba assicurare alla città – di restare alla sua guida per un solo mandato. E lo dovrà fare per tante ragioni. Innanzitutto per evitare il perverso meccanismo della politica che produce politici di professione, i quali finiscono con dedicarsi con meno incisività all’azione amministrativa di quanto farebbero se sapessero sin dall’inizio di non dovere in futuro conquistare o confermare le proprie cariche. Inoltre il pericolo di una inevitabile deriva autoritaria, considerati i poteri del sindaco, verrebbe meno, se il primo cittadino destinato a mantenere la carica per soli 5 anni, prendesse l’impegno di assumere di fatto le vesti nell’organo di governo della città di (per tornare al latino) primus inter pares (primo tra pari). Questi meccanismi che qualcuno potrebbe obiettare, avrebbero come punto debole, di rallentare l’attività amministrativa, in realtà se ben programmati renderebbero più energica l’azione politica e soprattutto più vicina ai cittadini, se affiancata a forme di consultazione con essi su decisioni importanti per il futuro della città. Le ipotesi presentate non sono poi così difficili da mettere in pratica. Le dimensioni della città favoriscono la partecipazione di tutti al governo della cosa pubblica, e sembra testimoniarlo il web che sta recitando in questa fase una parte importante. Basti vedere i dibattiti su alcuni siti web della città che hanno al centro problematiche locali e anche sondaggi a carattere statistico con domande del tipo: “chi vorresti sindaco di Soverato”, etc. A ciò si aggiunge la bella esperienza dei quartieri che in città – chi più chi meno – partecipano alla vita cittadina in maniera attiva e fanno sentire gli abitanti protagonisti della realtà che li circonda. Ecco perché Soverato – nell’attuale fase – non ha bisogno di un super-sindaco destinato a durare nel tempo o pieno di autorità. Del resto in passato abbiamo lanciato l’idea su queste colonne che per una futura coalizione sarebbe interessante costruire un accordo politico adottando il modello della repubblica consolare di Roma. In sostanza, si tratterebbe di concludere un accordo secondo il quale, la guida politica di Soverato spetterebbe non ad un solo uomo ma a due, con pari poteri. Naturalmente, dal punto di vista giuridico ci sarebbe un sindaco, una giunta e un consiglio ognuno con le sue competenze e responsabilità ma le decisioni politiche dovrebbero cadere su due uomini: individuati magari nel sindaco e vicesindaco. Nell’antica Roma vi erano due consoli che avevano pari poteri. Nel caso uno di essi prendeva una decisione che l’altro non condivideva quest’ultimo poteva esercitare la c.d. intercessio (il veto), ovvero opporsi al provvedimento impedendone l’esecutività. Per evitare situazioni di stallo gli antichi romani in genere organizzavano il comando in forza di accordi politici tra i consoli in maniera tale che in distinti settori di attività un solo console esercitava in effetti il potere, senza che l’altro esercitasse “l’intercessio”. Il sistema più in uso e conosciuto era quello dei turni, secondo il quale i due consoli dividevano l’anno in mesi in cui si davano il cambio nel disbrigo degli affari. Più democratici di così…. !!
Fabio Guarna