Titolo originale: The king’s speech
Genere: Dramma storico
Origine/Anno: Gran Bretagna, Australia – 2010
Regia: Tom Hooper
Sceneggiatura: David Seidler
Interpreti: Colin Firth, Guy Pearce, Helena Bonham Carter, Timothy Spall, Geoffrey Rush, Jennifer Ehle, Derek Jacobi
Montaggio: Tariq Anwar
Fotografia: Danny Cohen
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Eve Stewart
Giudizio: 7
Trama: il duca di York balbetta fin dall’età di cinque anni. La sua balbuzie diventa un ostacolo insormontabile alla successione al trono quando – morto il padre Giorgio V e dopo meno di un anno di regno dell’erede designato – il fratello, Edoardo VIII, decide a sorpresa di abdicare per sposare l’amata Wallis Simpson: come può un re balbuziente tenere discorsi alla radio ed infondere al suo popolo il coraggio necessario ad affrontare una guerra lunga e sanguinosa come quella che si profila nel ’39 con l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche?
Recensione: Bertie e Lionel. Il re ed il logoterapeuta. L’incontro di due mondi lontani anni luce. Il duca di York da un lato, che si appresta a salire sul trono col nome di Giorgio VI, divenendo così re del Regno Unito, d’Irlanda e dei Territori Britannici d’Oltremare, oltreché Imperatore d’India, e l’esperto di dizione dall’altro, completamente privo di referenze o titoli, persino di quello di dottore. Eppure, Bertie ha bisogno di Lionel; e ne ha bisogno per riuscire a parlare in pubblico. Il re d’Inghilterra, per poter credibilmente svolgere il proprio ruolo, deve esser capace di superare la propria balbuzie e di parlare alla nazione; e deve riuscire a farlo con il carisma di un leader: “- Che cosa dice? – Non lo so, ma… sembra che lo dica piuttosto bene!” – dirà Bertie rispondendo ad una domanda della figlia Elisabetta su un discorso di Hitler riportato in un cinegiornale.
E sarà proprio Lionel a far da guida a Bertie nel lungo e faticoso viaggio di quest’ultimo attraverso le sue più ancestrali paure, facendogli riscoprire ciò che rimane della propria umanità – sepolta sotto la spessa coltre della rigida e soffocante etichetta imposta dalla casa reale – ed aiutandolo a vincere le proprie resistenze: anzitutto a farsi curare con i sistemi poco ortodossi praticati dallo stesso Lionel; quindi, e soprattutto, a rimettersi in gioco e tornare ad imparare – lui, sovrano del regno; ed a farlo peraltro apprendendo da un umile inglese comune (anzi, un comune australiano!), il logoterapeuta eccentrico e privo di referenze, appunto.
Così, sulle note del celeberrimo concerto in la maggiore per clarinetto e orchestra di Mozart, ha avvio la più bizzarra esperienza di logoterapia della storia del cinema, ma anche una profonda ed intensa esperienza umana, descritta con garbo e con un recondito ma non fastidioso retrogusto fiabesco.
La vicenda di Bertie colpisce per il coraggio e la determinazione che questi dimostra, pur nelle fasi alterne che ne sottolineano la fragilità e ne rimarcano al tempo stesso la credibilità come personaggio, nell’affrontare gli spettri più terrificanti della propria interiorità e nel ribaltare un’apparentemente inesorabile condanna alla balbuzie, nonostante le pesanti sconfitte del passato ed i lunghi e mortificanti silenzi di fronte al microfono, realizzando dunque quell’impresa titanica che è il riuscire a superare i propri limiti.
Esteticamente impeccabile, il film è scandito da un ritmo crescente impreziosito da momenti di sagacia ed ironia. È sostenuto da una scrittura solida, una buona scenografia (molto riuscita, in particolare, la costruzione dello spazio nello studio/abitazione del logoterapeuta), bei costumi. È interpretato da attori straordinari: delle 12 nominations all’oscar, 3 sono per splendide interpretazioni di Geoffrey Rush (affabile e sornione), Helena Bonham Carter (amabilmente leziosa) e, naturalmente, Colin Firth (vulnerabilità sfaccettata e ruvidezza sofferta, da poco premiato, peraltro, col golden globe quale miglior attore protagonista).
The king’s speech, si avvale però anche di un’ottima regia: belle ed evocative le inquadrature iniziali sul microfono che verrà usato per “il discorso del re”, l’oscuro nemico che prende forma fin dall’incipit del film; inquietante l’uso espressivo degli obiettivi per deformare la visione prospettica nei momenti di maggior tensione emotiva del protagonista; fluide ed eleganti le riprese con la steadycam usata lungo le scale nel precedere la discesa della famiglia reale.
Il film ha vinto il Toronto Film Festival.
Gianfranco Raffaeli