
Titolo originale: Melancholia
Genere: Drammatico
Origine/Anno: Italia, Francia, Germania, Svezia,
Danimarca – 2011
Regia: Lars Von Trier
Sceneggiatura: Lars Von Trier
Interpreti: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg,
Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, John
Hurt, Alexander Skarsgård, Stellan Skarsgård,
Brady Corbet, Udo Kier, Jesper Christensen
Montaggio: Morten Højbjerg, Molly Marlene
Stensgaard
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Scenografia: Jette Lehmann
Costumi: Manon Rasmussen
Giudizio: 9
Trama: Il pianeta Melancholia attraversa il sistema solare, rischiando di entrare in collisione con la Terra: i giorni che precedono il passaggio del pianeta, visti con gli occhi di una pubblicitaria fortemente depressa.
Recensione: Immagini intense e struggenti, scandite in successione caotica da un ralenti che ne esalta la drammaticità: una madre che corre per mettere in salvo il proprio bambino in un ultimo disperato e vano tentativo di evitare l’ineluttabile, ma i cui passi affondano nel pantano di un campo da golf; un cavallo che si avvita su se stesso lasciandosi cadere sul prato che aveva solcato fino a qualche istante prima; lo sguardo attonito ed impotente della protagonista, Justine, di fronte al progressivo ed inesorabile annichilimento dell’esistente mentre, alle sue spalle, uccelli ormai privi di vita piovono letteralmente dal cielo. L’incipit dell’ultimo lavoro del contestatissimo Lars Von Trier, allontanato dal Festival di Cannes per alcune dichiarazioni filonaziste rese ai giornalisti, è quanto di più visionario e poetico, potente ed evocativo ci si potesse aspettare.
Pervaso da un senso di morte che traspare fin dalle prime convulse e bellissime inquadrature, di cui si è detto sopra, il film racconta gli ultimi giorni del passaggio di un pianeta attraverso il sistema solare, prima che questo incroci la traiettoria dell’orbita terrestre. Melancholia però, questo il nome del pianeta, non è semplicemente un corpo celeste che rischia di collidere con la Terra; è anche il simbolo di una forza oscura e misteriosa e, al tempo stesso, della morbosa e crescente attrazione che questa esercita (emblematica, al riguardo, la scena in cui Justine si allontana da casa, di notte, per stendersi nuda su un dosso e “nutrirsi” della luce di Melancholia), la reificazione, per un verso, del senso di oppressione che affligge Justine e, per l’altro, delle angosce dell’intero genere umano. Melancholia è insomma la rappresentazione icastica di quell’insondabile condizione dell’essere verso la quale siamo inesorabilmente spinti(/attratti) da una forza incontrollabile (come può esserlo un pianeta che ne incrocia un altro lungo la traiettoria della propria orbita), che sappiamo poterci distruggere (si calcola che il pianeta azzurro si limiterà a sfiorare la Terra; infinite variabili rendono però incerto qualsiasi calcolo), ma verso cui ci lasciamo trascinare senza opporre resistenza: Justine, abbiamo detto prima, sembra “nutrirsi” dell’energia di Melancholia, pare averne una sorta di bisogno primario ed ineludibile; ebbene, è proprio quando il pianeta più si avvicina che lei recupera la propria forza interiore e diventa paradossalmente punto di riferimento della sorella e del nipote che fino a qualche giorno prima cercavano di alleviarne la depressione.
In una sorta di danza macabra che prende avvio dall’incubo iniziale di Justine, imprigionata nel suo abito da sposa da radici che le impediscono di avanzare, il film, costantemente in bilico tra psicanalisi e catastrofismo, potenza delle immagini ed intenso lirismo, procede senza intoppi in un crescendo di tensione e drammaticità verso un finale tragico e sublime.
Gianfranco Raffaeli