Pina di Wim Wenders

Locandina del film Pina di Wim Wenders
Pina
Titolo originale: Pina
Genere: Documentario
Origine/Anno: Germania – 2011
Regia: Wim Wenders
Sceneggiatura: Wim Wenders
Interpreti: Pina Bausch, Regina Advento, Malou
Airaudo, Ruth Amarante, Jorge Puerta, Rainer
Behr, Andrey Berezin, Damiano Ottavio Bigi,
Bénédicte Billet, Ales Cucek
Montaggio: Toni Froschhammer
Fotografia: Hélène Louvart, Jörg Widmer
Scenografia: Péter Pabst
Costumi: Rolf Börzik, Marion Cito
Musiche: Thom
Giudizio: 7 ½

Trama: Pina Bausch, coreografa e direttrice del Tanztheater Wuppertal, da lei fondato negli anni ’70, recentemente scomparsa, viene ricordata dai suoi ballerini.

Recensione: “Dance, dance, otherwise we are lost”. L’ultimo lavoro di Wenders ricostruisce, attraverso i racconti, le esibizioni e gli sguardi dei suoi ballerini, riproposizioni dei suoi spettacoli più celebri (tra cui il noto Café Müller del 1978) ed immagini di repertorio in un bianco e nero che sembra rievocare un mondo ormai perduto per sempre – come tanti tasselli di un puzzle che pare non poter trovare una forma definita perché tutto è turbolenza e movimento, sensualità e frenesia in questo spericolato documentario in 3D –, un ritratto composito ed intenso della coreografa Pina Bausch, fondatrice del Tanztheater Wuppertal, compagnia di ballo che la stessa Bausch diresse fino al momento della sua improvvisa scomparsa, avvenuta poco più di due anni fa.
Il film trasmette fin dalle prime inquadrature, anche grazie all’uso della tecnologia 3D (primo esperimento del genere nel cinema di Wenders), la sensazione di esser catapultati al centro della ribalta, di essere immersi nel mondo pulsante creato dalla fantasia e dal genio della Bausch, ma soprattutto reso possibile grazie alla sua straordinaria capacità di penetrare le persone con uno sguardo, di carpirne i desideri ed intuirne le debolezze, di indicare loro una strada da seguire, di sostenerle nel quotidiano ed estenuante lavoro di affinamento delle proprie capacità espressive, di tirarne fuori il meglio, di riuscire, in una parola, a dar loro un’anima.
Pina Bausch, prima ancora che una grande coreografa, è infatti una persona in grado di comprendere e coinvolgere chi gli sta attorno, di trasmettere energia e motivazioni, di spingere ad una costante riflessione e rimessa in discussione della propria vita. Ed il film cerca di restituire proprio l’immagine di un personaggio magnetico e carismatico che ha cambiato la vita delle persone che hanno avuto il coraggio di seguirlo in quel territorio oscuro che conduce all’abbandono delle proprie inibizioni e di ogni infingimento, in cui si è nudi di fronte al proprio essere ed a chi ci sta intorno, in cui si accetta il rischio dell’essere autentici e la vera forza va trovata nelle proprie debolezze, in cui si abbandona ogni rifugio e c’è spazio soltanto per l’espressione di ciò che realmente si è.
Lo sforzo principale di Wenders allora non è quello di raccontare, ma di rievocare; non quello di ricostruire un percorso, ma di farlo rivivere attraverso la magia che promana dalle coreografie di Pina Bausch ed attraverso l’energia che viene sprigionata dai suoi eccezionali ballerini, come una sorta di fluorescenza acquisita dopo un lungo contatto con una intensa fonte luminosa che viene rilasciata gradualmente nel tempo.
La forza espressiva, la pienezza di vita, l’intensità vengono quindi mescolati ad un percorso artistico pervaso da una ricerca ininterrotta di nuove formule, di nuovi campi da esplorare, che fa però quasi da semplice sfondo al profilo umano che emerge della Bausch; e la rievocazione nostalgica e dolorosa della coreografa scomparsa e del vuoto che ha lasciato si unisce alla consapevolezza della straordinarietà dell’esperienza umana vissuta dai componenti della compagnia di ballo e dai pochi fortunati che ne hanno condiviso, dalla poltrona di una platea, le visionarie e spettacolari evoluzioni.

Gianfranco Raffaeli

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