J. Edgar di Clint Eastwood

J. Edgar di Clint Eastwood
J. Edgar

Titolo originale: J. Edgar
Genere: Drammatico
Origine/Anno: USA – 2011
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Dustin Lance Black
Interpreti: Leonardo DiCaprio, Naomi Watts,
Armie Hammer, Josh Lucas, Judi Dench, Josh
Hamilton, Geoffrey Pierson, Cheryl Lawson,
Kaitlyn Dever, Brady Matthews
Montaggio: Joel Cox, Gary Roach
Fotografia: Tom Stern
Scenografia: James J. Murakami
Costumi: Deborah Hopper
Musiche: Clint Eastwood
Giudizio: 7 ½

Trama: La vita di J. Edgar Hoover, direttore dell’FBI per 48 anni, vista dall’obiettivo della macchina da presa di Clint Eastwood: l’irresistibile ascesa, l’incrollabile determinazione nel rivoluzionare i sistemi investigativi del Federal Bureau, l’inesorabile declino.

Recensione: L’ultimo lavoro di Clint Eastwood è un ritratto intenso e sfaccettato di J. Edgar Hoover, il discusso numero uno dell’FBI che rimase a capo del Bureau per un periodo che ha inizio nel 1924, durante il primo mandato del repubblicano Coolidge, e si conclude circa mezzo secolo più tardi, nel 1972, in piena era Nixon. Si va dall’ossessione di Hoover per l’innovazione dei sistemi investigativi adottati dall’FBI (la realizzazione di un archivio centralizzato per le impronte digitali e di laboratori scientifici che si avvalgano dei massimi esperti del momento), all’attività di dossieraggio da lui svolta (grande rilievo viene dato ai presunti “files” segreti su politici e celebrità del tempo); dalle voci sulla sua supposta omosessualità (il rapporto con Clyde Tolson, il suo vice, viene presentato come ben più che allusivo), alle continue violazioni dei diritti civili perpetrate ai danni dei cosiddetti nemici del Paese (le incursioni nei covi dei rivoluzionari sono sempre accompagnate da pestaggi e violenze), passando per una serie di episodi della storia americana del secolo scorso indelebilmente iscritti nelle nostre coscienze, se non addirittura confinati all’interno del nostro subconscio (il rapimento del piccolo Lindbergh, nella casa di campagna dell’aviatore; l’uccisione di John Fitzgerald Kennedy; il Nobel per la pace a Martin Luther King; l’elezione di Nixon).
Eastwood, insomma, mette in scena il travaglio di un’epoca segnata da profonde tensioni sociali e tenuta insieme, in un certo qual senso, dal sottile filo rosso dell’anticomunismo (leggi: caccia alle streghe) che torna a più riprese (con la parentesi del gangsterismo che vi fa da spartiacque) per culminare col maccartismo (il senatore McCarthy viene soltanto evocato in una sequenza del film, ma il pericolo rosso è una sorta di incubo persecutorio per Hoover).
Il merito principale del film non sta però tanto nella ricostruzione di un pezzo di storia americana, ove poi la vicenda umana e professionale di J. Edgar è calata, nel quadro d’assieme, nell’indagine sugli umori di fondo e le paure di un’America distante nel tempo o sui sensi di colpa delle generazioni che hanno vissuto quegli anni (“Siamo tutti peccatori, Edgar!” – dirà la madre ad Hoover, arrivando ad accusare ogni americano di avere le mani sporche del sangue del piccolo Lindbergh); quanto piuttosto proprio nella realizzazione del ritratto dell’uomo Hoover. Nella capacità, cioè, di porre nella giusta luce la sua controversa personalità, di dare l’esatto spessore della sua umanità e delle sue debolezze, esaltandone al tempo stesso le straordinarie doti di leadership: nel delineare insomma un quadro composito del tutto contemporaneo, misto di efficientismo e patologica ricerca del potere, che, con un’espressione di Galimberti, potremmo definire “tipico di tutte le funzioni compensatorie che risolvono fuori di noi i conflitti che non siamo riusciti a comporre dentro di noi”. Personaggio complesso e contraddittorio, J. Edgar viene infatti presentato, nel film di Eastwood, con grande efficacia (certo, anche con qualche concessione dal sapore fortemente cinematografico che fa travalicare al film la piena fedeltà storica agli eventi): schiacciato dalla figura della madre, che fin da piccolo gli carica sulle spalle la responsabilità di risollevare le sorti della famiglia; incapace di vivere pienamente la propria omosessualità (persino in vacanza con il suo presunto amore Tolson dice di ritener giunto il momento di trovarsi una signora Hoover); perennemente in bilico su un precipizio al di sotto del quale ci sono ad attenderlo una serie di conflitti irrisolti (“Tutta l’ammirazione del mondo non può colmare un vuoto d’amore” – gli verrà detto da un’attrice durante una cena); combattuto dalla stridente contraddizione tra l’aspirazione ad una totale dedizione all’affermazione della legalità e la consapevolezza di dover tradire il rispetto delle leggi proprio per far meglio il suo lavoro (“Qualche volta occorre piegare un po’ le regole per garantire la sicurezza del Paese!” – dirà a Tolson).
Bravissimi DiCaprio, Watts e Hammer. Intimo e struggente il finale, coronamento della storia delicata tra J. Edgar e Clyde Tolson, fatta di intima vicinanza e cose non dette.

Gianfranco Raffaeli

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