Un sapore di ruggine e ossa di Jacques Audiard

Locandina del film Un sapore di ruggine e ossa di Jacques Audiard
Un sapore di ruggine e ossa

Titolo originale: De rouille et d’os
Genere: Drammatico
Origine/Anno: Belgio, Francia – 2012
Regia: Jacques Audiard
Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain
Interpreti: Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts, Céline Sallette, Bouli Lanners, Corinne Masiero, Jean-Michel Correia
Montaggio: Juliette Welfling
Fotografia: Stéphane Fontaine
Scenografia: Michel Barthélémy
Costumi: Virginie Montel
Musiche: Alexandre Desplat
Giudizio: 8

Trama: Ex pugile senza prospettive e con un figlio di cinque anni a carico va a vivere in Francia dalla sorella. Lavorando come buttafuori in una discoteca incontra Stéphanie, istruttrice di orche che di lì a poco verrà coinvolta in un tragico incidente. I due iniziano a frequentarsi e ne nasce una contrastata relazione.

Recensione: Intenso ed estremo, poetico e brutale, l’ultimo lungometraggio di Audiard (il regista dell’acclamato, e premiato, “Il Profeta”) racconta la storia di due vite spezzate (una delle quali non soltanto metaforicamente) che tentano con forza di riemergere dall’abisso nel quale sono sprofondate: Stéphanie, istruttrice di orche, perde entrambe le gambe in un drammatico incidente; Ali, ex pugile e kick-boxer, ha un figlio di cinque anni, ma non un soldo per comprargli da mangiare durante il viaggio in Francia per andare a stare dalla sorella.
Ma il film è un continuo finire a fondo e tentare di riemergere. Così, se Stéphanie ritrova gusto nelle cose e fiducia nella vita, nonostante la tragedia che l’ha colpita, solo quando incontra Ali, ma poi si sente nuovamente affondare nel momento in cui, tornando in discoteca, viene scaricata dallo stesso Ali, che si allontana con una ragazza abbordata ballando; quest’ultimo, quando finalmente pare aver trovato un equilibrio a casa della sorella, è costretto a rimettere tutto in gioco per il licenziamento di questa (di cui è involontariamente causa) che lo caccerà letteralmente di casa. E quando faticosamente riesce a ritrovare una quotidianità negli allenamenti di pugilato e la speranza di un futuro in un incontro imminente, un nuovo incidente comprometterà la sua carriera. Non per sempre, ma perenne sarà il senso di incertezza e precarietà che ne deriva: la mano di un uomo è composta da 27 ossa e quando si rompe l’osso di una mano non guarisce mai completamente; per quanta attenzione si possa fare, prima o poi, durante un incontro, il dolore tornerà, e sarà come punture di spillo!
Riemergere ed affondare, dunque. Combattere per stare a galla. Ferirsi e ricominciare. Tutto è mostrato senza troppe mediazioni dalla macchina da presa: le ferite sul volto di Ali riportate nei combattimenti clandestini a Nizza e le mutilazioni di una splendida Cotillard esibite praticamente durante tutto il film; il sangue di Ali che sporca il lastrone di ghiaccio spezzato da quest’ultimo a mani nude per salvare il figlio sprofondato nel lago e quello che esce dal naso di Stéphanie, contusa in una rissa, quando compare per la prima volta nel film.
Continue oscillazioni e confusione totale che, a loro volta, vengono sottolineate (linguisticamente rese) da una regia impeccabile che alterna movimenti intensi della macchina da presa (così nella sequenza che prepara l’incidente della piscina) a piani fissi nei rari attimi di serenità (Ali che dorme sulla sdraio mentre Stéphanie nuota per la prima volta dopo l’incidente, ritornando lentamente alla vita); che avvicenda riprese lineari ad inquadrature sporche con angolazioni dal basso. Ed anche la luce è soggetta a continui sbalzi, passando dai toni abbacinanti delle scene girate in esterno (con controluce improvvisi e spiazzanti), a quelli più sommessi negli interni (la casa di Stéphanie è buia e con le tende tirate quando Ali va a trovarla).
Ma da ogni nuova caduta sembra nascere un diverso modo di sentire le cose, da parte dei personaggi della storia, ed una nuova concezione di sé. Una visione più umana e sofferta della vita e dei rapporti con gli altri. Il dolore assolve nella vicenda narrata ad una funzione fondamentale. È proprio quando Stéphanie perde le gambe che scopre per la prima volta il significato dell’amore: lei, algida e priva di scrupoli prima di allora (racconta ad Ali che le piaceva sedurre gli uomini e, nella scena in cui l’ex pugile sale a casa di lei per mettere del ghiaccio sulla mano ferita, Stéphanie non perdona al suo convivente la vigliaccheria di aver abbassato lo sguardo quando il buttafuori fa la voce grossa), riscopre l’importanza di avere qualcuno accanto, qualcuno su cui poter contare, sia pure uno che si fa spaccare la faccia in combattimenti clandestini per dar sfogo alla sua pulsione autodistruttiva. È quando Ali rischia di perdere il piccolo Sam che scopre, prima, quanto in realtà il figlio sia importante per lui, e poi quanto abbia bisogno di Stéphanie e della sua relazione con lei, che aveva improvvisamente troncato (quella stessa Stéphanie alla cui sola visione, quando questa era uscita dall’auto mentre in un combattimento lui veniva letteralmente massacrato dal suo avversario, Ali aveva trovato la forza di reagire, rispondere ai colpi ricevuti e capovolgere le sorti dell’incontro).
Ed allora: confusione (la stessa delle immagini iniziali del film in cui, tra doppie esposizioni e dissolvenze, in una dominante cromatica blu metallico, pare intravvedersi il corpo del piccolo Sam imprigionato nel lago sotto il lastrone di ghiaccio: il motivo dominante dell’affondare e del riemergere appare già in tutta la sua crudezza!) e mancanza (quella esibita nelle mutilazioni del corpo di Stéphanie; quella di una vita altrettanto a metà di un ex pugile sconclusionato alla ricerca di un senso – o quella della mano fratturata, che rappresenta una carenza altrettanto incolmabile per uno che intende guadagnarsi da vivere boxando). È in questo contrasto/alternanza, conflitto/tensione che la brutalità e la poesia, la forza e l’immediatezza dell’ultimo film di Audiard ci colpiscono. Con visioni estreme, ma autentiche; intense e toccanti (come l’incontro/riconciliazione, nell’acquario, tra Stéphanie e l’orca che le ha fatto perdere le gambe).
Bravissimi gli attori, strepitosa la Cotillard.

Gianfranco Raffaeli