Cosimo e Nicole di Francesco Amato

Titolo originale: Cosimo e Nicole
Genere: Drammatico
Origine/Anno: Italia – 2012
Regia: Francesco Amato
Sceneggiatura: Francesco Amato, Daniela Gambaro, Giuliano Miniati
Interpreti: Riccardo Scamarcio, Clara Ponsot, Paolo Sassanelli, Andrea Bruschi, Angela Baraldi, Souleymane Sow
Montaggio: Luigi Mearelli
Fotografia: Federico Annicchiarico
Scenografia: Emita Frigato
Costumi: Medile Siaulytyte
Musiche: Francesco Cerasi
Giudizio: 5

Trama: Una coppia di ragazzi, Cosimo e Nicole, vive un’intensa storia d’amore tra Genova e la Francia. Poi l’incidente di un clandestino che lavora con loro increspa il rapporto dei due, portandoli ad una sofferta e traumatica rottura.

Recensione: Allora… Cosimo e Nicole è un film su una storia d’amore tra due ragazzi che s’incontrano al G8 di Genova. No, mi correggo: Cosimo e Nicole è un film che racconta il mondo giovanile che ruota attorno ai concerti. Ma no, no! Cosimo e Nicole è un film sulla storia di un clandestino che vuole a tutti i costi raggiungere il fratello in Belgio per sposare la fidanzata.
Se pensate che il sottoscritto abbia le idee un po’ confuse, beh, forse non è l’unico ad avercele, perché pare che anche il film sia piuttosto confuso, soprattutto nella direzione da prendere.
Ad ogni modo, Cosimo e Nicole, come il titolo stesso della pellicola lascia intuire, è sicuramente una storia d’amore tra due ragazzi; e questi, come si diceva sopra, si sono conosciuti proprio al G8 di Genova. Un celerino insegue Nicole, che viene regolarmente raggiunta e manganellata. Ferita e tramortita, questa viene soccorsa da Cosimo (che qualche ora prima l’aveva fotografata da dietro una bancarella). Il G8, però, come da ultimo ci ha ricordato il film (bello e crudo) di Vicari (Diaz), è argomento serio e scottante (rappresentando, ahinoi!, una delle pagine più buie della cosiddetta democrazia in cui viviamo). Inserirlo come sfondo di una storia d’amore può essere legittimo, ma quanto meno un po’ fuori luogo, se la cosa non viene adeguatamente contestualizzata; e, soprattutto, se la cosa non viene fatta con mano sicura e la rappresentazione che se ne dà è un po’, come dire, romanzata. Qui, e ci si perdoni la scarsa fiducia nei realizzatori del film, l’operazione sa troppo di espediente cinematografico per smuovere le acque e mettere del pepe nelle inquadrature iniziali. Si può (certo!) anche pensare che la scelta sia voluta per dare fin dall’inizio l’idea della lotta, del conflitto che poi si vedrà nel corso del film (soprattutto nella vicenda di Alioune, la parte migliore della pellicola); ma, francamente, non sembra sia questo il caso.
Dopo Genova, attraverso una parentesi francese, c’è poi di nuovo Genova. I due, sempre Cosimo e Nicole, riprendono a lavorare per Paolo, un tecnico del suono che li aveva tirati fuori dai guai durante il G8. Ed è qui che la loro vicenda sentimentale sembra raggiungere il suo apice. Ma il racconto della loro storia d’amore non assume consistenza, è privo di spessore, non riesce a spiccare il volo. Manca quell’autenticità, quella spontaneità, quel tocco lieve che altrove film anche imperfetti hanno saputo avere (vogliamo parlare de “La guerra è dichiarata”, di Valérie Donzelli, tanto per fare un titolo recente?). Il racconto va avanti per cliché, con inquadrature da magazine maschile ed ambientazioni da romanzo rosa (con tanto di palafitta “okkupata” in riva al mare rimessa a nuovo da Cosimo dopo una settimana di duro lavoro). Le scene di sesso si coniugano più nella dimensione dello sfruttamento della fisicità degli attori, dell’esaltazione dei corpi giovani, che non in quella della ricerca di una carnalità, di un contesto emozionale autentico, di una vicenda intima che trasudi umanità. La ricostruzione dell’ambiente dei concerti fatica ad ergersi al di sopra di un livello da spot pubblicitario (pur filmato da un buon artigiano): molto colore, molta musica ed un forte retrogusto adolescenziale.
Poi, ad un certo punto (finalmente, viene da dire!), la svolta. Un incidente sul lavoro, di cui rimane vittima un clandestino, cambia volto al film, dà linfa vitale ad un racconto fino ad allora ripiegato su se stesso ed in affanno nei rivoli di un rapporto amoroso che non ha nulla che lo caratterizzi veramente e lo differenzi dal déjà vu. Alioune cade dal palco in costruzione e, perché la cosa non crei problemi a Paolo con la polizia, viene lasciato agonizzante o forse morto in una specie di discarica.
È un (/il) momento buono del film, che probabilmente non riesce a risollevarne completamente le sorti, ma contribuisce a non far rimpiangere (troppo) il costo del biglietto. Alioune, prima dell’incidente, viene presentato come un taciturno e, soprattutto, come un solitario. Il film mette allora in luce l’isolamento sociale, l’ostracismo in cui questi è calato. La cintura di sicurezza cui è legato mentre lavora sul palco è un po’ come il filo sottile cui è appesa la sua fragile vita, anche questa, come lui, inesorabilmente destinata a precipitare. E la sua vita è fragile perché Alioune è, appunto, isolato, privo di contatti, di sostegni, lasciato a se stesso: nessuno lo cerca quando viene abbandonato nella discarica, è solo un numero quando al mattino viene reclutato per scaricare tralicci di impalcature. Eppure, strano a dirsi, anche lui è un essere umano (seppure venga trattato come un oggetto): è scappato da un paese in guerra, ha un fratello in Belgio che vuole raggiungere, ha una fidanzata a cui scrive e che spera di riuscire a portare con sé in Europa.
La reificazione dei lavoratori clandestini (da cui il conseguente tentativo di sbarazzarsi di Alioune come un oggetto inservibile quando questi cade dal palco in costruzione), la mercificazione di vite disperate pare decisamente la parte più convincente (ed avvincente) del film (che infatti si segue molto meglio e si fa più coinvolgente nella seconda parte). Così come la descrizione del senso di colpa che si insinua nel rapporto tra Cosimo e Nicole fino a portarli alla rottura. Più bella, dunque, questa parte del film. Più bella e certamente importante: non si dovrebbe mai smettere di riflettere sulle condizioni di chi sta peggio di noi, non ci si dovrebbe mai distrarre perché l’assuefazione è sempre dietro l’angolo e l’abbrutimento nel proprio egoismo è storicamente foriero di immani catastrofi. Più bella, sì, la seconda parte del film; ma insufficiente a giustificare il film stesso!
Cosimo e Nicole è stato insignito del Premio prospettive per il miglior lungometraggio all’ultimo Festival del cinema di Roma.

Gianfranco Raffaeli