
SOVERATO – Negli ambienti politici si discute sulle responsabilità del “rischio dissesto” che corre il comune di Soverato e si ragiona sula procedura adottata ex art. 243 bis TUEL 267/2000 ovvero il piano di riequilibrio finanziario pluriennale sottoposto all’esame del consiglio comunale e passato con i voti della sola maggioranza. Coloro che seguono la politica da vicino ragionano sulle responsabilità di ciò che alcuni definiscono “forzatamente” un pre-dissesto e se la scelta effettuata sia veramente la migliore. Ma chi sta lontano da Palazzo di Città e in qualità di cittadino ha interesse a comprendere cosa comporta il “243 bis”, un numero o meglio un articolo destinato a restare nella memoria dei soveratesi ma anche di tanti altri italiani (per inciso:bisogna fugare ogni dubbio non esiste un “caso Soverato” ma tanti altri comuni sono alle prese con simil i problemi), si interroga sul futuro finanziario della cittadina e soprattutto quale sarà il contributo economico che verrà caricato sulle spalle degli abitanti. Non solo ma anche chi rivendica un pagamento a suo favore da parte dell’ente è interessato a sapere cosa accadrà, così come chi spera in una futura stabilizzazione del posto di lavoro “al Comune”. Messe da parte le responsabilità dell’accaduto e altre considerazioni destinate probabilmente a diventare il leit motiv delle prossime campagne elettorali comunali, al momento non vicine, ictu oculi, a colpo d’occhio, per cominciare a dire senza approssimazione cosa accadrà sarà necessario che sulla deliberazione pronta ad essere trasmessa entro 5 giorni dalla data di esecutività, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell’interno, si pronunci il giudice contabile. Una pronuncia che dovrà tenere conto come previsto dall’art. 243 bis, di quanto segue: la “procedura non può essere iniziata qualora la sezione regionale della Corte dei Conti provveda, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, ad assegnare un termine per l’adozione delle misure correttive di cui al comma 6, lettera a), del presente articolo”. Si tratta in sostanza di una questione formale che dovrà essere trattata. Intanto per farla breve il Comune, anche prima di avere sciolto questo nodo, dovrà pensare di approvare un piano di riequilibrio pluriennale della durata massima di dieci anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell’organo di revisione economico-finanziario. Il programma da sottoporre non dà molti margini di spazio all’attività contabile ed è sottoposto a controllo periodico. Per sommi capi il Comune al fine di uscire dal rischio default potrebbe prevedere la deliberazione delle aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita, anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente. Inoltre l’Ente – come recita il 243 bis di cui estraiamo alcune parti – è soggetto ai controlli centrali in materia di copertura di costo di alcuni servizi, di cui all’articolo 243, comma 2, ed è tenuto ad assicurare la copertura dei costi della gestione dei servizi a domanda individuale; può procedere all’assunzione di mutui per la copertura di debiti fuori bilancio riferiti a spese di investimento in deroga ai limiti di cui all’articolo 204, comma 1, previsti dalla legislazione vigente, nonché accedere al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli Enti locali di cui all’articolo 243-ter, a condizione che si sia avvalso della facoltà di deliberare le aliquote o tariffe nella misura massima prevista; che abbia previsto l’impegno ad alienare i beni patrimoniali disponibili non indispensabili per i fini istituzionali dell’ente e che abbia provveduto alla rideterminazione della dotazione organica ai sensi dell’articolo 259, comma 6, fermo restando che la stessa non può essere variata in aumento per la durata del piano di riequilibrio. Insomma si profilerebbe un piano di vendita degli immobili comunali, il blocco delle assunzioni e le tasse al massimo. Tutto però sarebbe gestito dagli organismi politici e non da un commissario, e quindi un soggetto più portato a comprendere negli angusti spazi di manovra come contemperare esigenze di equità sociale a risanamento del debito. Ancor più se si pensa che il piano di risanamento deve prevedere “entro il termine di un triennio la riduzione di almeno del dieci per cento delle spese per prestazioni di servizi, di cui all’intervento 03 della spesa corrente” ed ancora entro il termine di un triennio, riduzione almeno del venticinque per cento delle spese per trasferimenti, di cui all’intervento 05 della spesa corrente, finanziate attraverso risorse proprie”. Comunque andranno le cose, è ormai chiaro che bisognerà stringere la cinghia ed evitare che il peso del debito finisca il meno possibile sulle spalle di chi arriva con difficoltà a fine mese. – Fabio Guarna