La Roma della passata stagione era una squadra allo sbando.
Affidata prima alle eccitazioni senili di Zeman poi alle tristi elucubrazioni di Andreazzoli.
De Rossi sembrava il fratello minore di Vampeta e Tachtsidis un greco di tufo (era immobile, lo ricordiamo tutti).
A luglio, tra la mestizia generale e l’incazzatura individuale, si presentò a Trigoria mister Rudi Garcia.
Non un fighettino alla Villas-Boas e neppure un personaggio del blasone di Hiddink.
Uno spagnolo dai modi franchi che aveva fatto bene a Lille e voleva tentare l’avventura nella capitale.
Aspettative pari a quelle di vedere una nuova Fiat dignitosa.
E proprio questo ha salvato Garcia, a Roma: le pochissime aspettative riposte nelle sue capacità di allenatore.
È riuscito a lavorare bene, senza la pressione costruita dalle attese del calcio-champagne boemo, talmente totale da prevedere l’utilizzo del portiere come mediano di spinta.
La Roma non prende goal, oggi.
In difesa non ha Baresi e Thuram, ma il buon Benatia.
La Roma segna sempre, segna molto e soprattutto nei secondi tempi. In attacco non ha Van Persie, ma Gervinho, un ivoriano che ha la velleità di farsi chiamare con un soprannome carioca.
La Roma va perché è una squadra, finalmente, dopo lunghissimo tempo.
Spalletti, con il dente avvelenato, ha sempre ricordato di essere stato l’unico a far conoscere la Roma in Europa negli ultimi anni.
Adesso si parla dei giallorossi ovunque.
E non solo per il rinnovo del contratto a un arzillo (quasi) quarantenne, ma per il calcio che produce.
Prendete Maicon, l’anno scorso riserva di tutti a Manchester e adesso tonico e protagonista a Roma.
Balzaretti, prossimo ai palcoscenici di danza della moglie, riscoperto gran terzino di sacrificio.
E De Rossi che finalmente fa il De Rossi.
La cura del nuovo mister.
Rudi che ti passa, insomma.