Trattando della condizione della donna e della violenza che esse spesso subiscono, il mondo occidentale spesso scivola in generalizzazioni quando lega l’argomento all’islam. Il tema che è molto delicato meriterebbe un’analisi approfondita per evitare anche i luoghi comuni che vorrebbero le donne islamiche assoggettate ad una condizione di semi-schiavitù e su cui la violenza dell’uomo sarebbe legittimata anche dai versi del corano. In questa sede – pur riconoscendo che in alcuni paesi musulmani la normativa dettata per la tutela della donna è rispetto a molte società occidentali molto indietro – cercheremo nei limiti della brevità dell’esposizione di evidenziare una linea di tendenza che riguarda il processo di riforme in atto in alcuni stati del mondo islamico che riguarda la condizione femminile. Ci viene in soccorso il recente voto del parlamento tunisino che ha approvato all’unanimità una legge contro la violenza e i maltrattamenti sulle donne e per la parità di genere. Si tratta di un testo di legge formato da più di 40 articoli che ha l’obiettivo di assicurare alle donne misure di difesa contro atti di discriminazione e individua misure di prevenzione e protezione contro ogni tipo di violenza che una donna possa subire. Vero è che la sola previsione di misure di prevenzione non è sufficiente se ad esse non si accompagnano atti concreti da parte delle istituzioni, come ad esempio il finanziamento di organizzazioni finalizzate a tradurre in concreto la legge. Senza dubbio però un passo è stato fatto e già rilevare come in Tunisia con il nuovo testo si sia riuscito ad abrogare l’art. 227 bis del codice penale del paese islamico che stabiliva la possibilità di “condono” della pena per lo stupratore di una minorenne nel caso si fosse unito in matrimonio con la vittima, denota un trend legislativo positivo. E forse rivela anche una presa di coscienza da parte della società tunisina del ruolo e dell’importanza della donna se si pensa che la legge ha, fra i suoi articoli, anche norme programmatiche mirate a rendere reale l’uguaglianza tra i sessi riconosciuta dalla costituzione. Non solo ma a ciò si aggiunge che nel quadro normativo in questione, è presente un generale inasprimento delle pene per chi si macchia di violenza o molestie nonché si prevedono o meglio sono “tipizzati” nuovi reati, un tempo non contemplati in maniera specifica contro le donne. Interessante nel testo la definizione di violenza che si intende come “ogni tipo di aggressione fisica, morale, sessuale o economica basata sulla discriminazione tra i due sessi e che generi sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica nella donna”. La definizione, così larga e onnicomprensiva di ogni forma di violenza, è sufficiente per smentire una volta per tutte i luoghi comuni sulla sensibilità verso la difesa della donna nel mondo musulmano. Analizzata tale novità normativa, è utile arricchire la presente ricerca riflettendo su altri aspetti legati all’argomento. E’ opportuno pertanto fare un accenno al corano, considerando l’influenza che esercita sulla legislazione islamica, tentando l’esegesi di alcuni passi di esso, soprattutto quelli dedicate alle donne dove alcuni traduttori ritengono di trovare l’espressione “battetele” riferita a coloro che si ribellano al proprio marito. In realtà, secondo altri, fra questi Laleh Bakhtiar scrittrice americana di origine persiana, il termine significherebbe “mandare via”, differenza di non poco conto destinata a smentire ogni forma di legittimazione della violenza contro le donne
Sulla condizione femminile, anche all’interno del mondo musulmano è possibile fare dei distinguo. In Iran, ad esempio paese a maggioranza sciita, il matrimonio è previsto anche nella forma di “unione a tempo determinato”, estranea al diritto sunnita e quanto al talaq ovvero il ripudio c’è da rilevare che essendo possibile in Persia solo per l’uomo chiedere il divorzio, la giurisprudenza ha trovato uno stratagemma per consentirlo alla donna e quindi mettere i due sessi in parità nella sostanza e non nella forma: poichè il matrimonio è un contratto sottoscritto dalle parti (marito e moglie), il mancato rispetto di alcune regole in esso previste consentono la risoluzione. La moglie contestando davanti al giudice alcune inadempienze del marito, può ottenere una sentenza che la delega a rappresentare il coniuge e attraverso la procura dare a se stessa il divorzio, o più letteralmente farsi ripudiare. Vero è che tentando un’analisi comparata delle varie legislazioni presenti nel mondo arabo, si scopre che ancora nella Tunisia che sopra abbiamo descritto come una delle più progressiste in materia di sensibilità verso l’universo femminile, in tema di eredità, figli e figlie non siano considerati alla stessa stregua e ciò avviene anche in Iran anche se tale discriminazione avviene in maniera più contenuta. In Iran – val la pena di annotarlo – da poco è stato varato il nuovo codice civile che introduce anch’esso, rispetto al passato, diverse innovazioni a favore delle donne. Certo, molti passi per rendere reale l’uguaglianza fra uomini e donne nelle legislazioni islamiche sono da fare, nè però può essere l’occidente il metro di misura quanto all’introduzione di nuove norme in merito alla condizione femminile. La diversità delle culture, il ruolo assegnato nei secoli alle donne nell’islam, non consente spesso di fare dei paragoni. Il dato che emerge però che anche nel mondo musulmano qualcosa sta cambiando e va nella direzione di assicurare sempre maggiori tutele alle donne, contrariamente a quanto spesso viene fatto troppo superficialmente credere.
Fabio Guarna