Omaggio a Paul Newman – di Maria Palazzo

Paul Newman (fonte Wikipedia)

Non so perché ho deciso di chiamarlo bruttone. Forse per una sorta di ironia malvagia (ma non troppo), che porta i comuni mortali a guardare gli dèi quasi con sospetto. Ma, in fondo, lui, che non si è mai creduto un dio, sa che non è così: bruttone è il mio personalissimo modo di apprezzarlo, di fargli sapere che è mitico, lassù, ovunque si trovi, che è l’unico mito che ho avuto, che è l’unico, vero, divo che riconosco, proprio perché, nonostante tutta la sua bellezza e la sua popolarità, egli non si considerò mai tale. La bellezza quasi non umana di Paul Newman mi incollava, da bambina, davanti alla TV. Ero così affascinata dal suo volto, dai suoi movimenti, dalla sua recitazione, da mettermi davanti allo schermo, nonostante i divieti dei miei genitori a stare troppo vicina. E, davanti a quello schermo, mi si apriva spontaneamente la bocca, come un “oooh” muto, ma continuo. Mia madre, non sentendomi muovere, piano, piano, mi si avvicinava e mi chiudeva la bocca (che, puntualmente si riapriva), reprimendo fino alle lacrime, risate incontenibili. Guardavo ogni suo film come ipnotizzata. Un giorno, avrò avuto otto anni, chiesi addirittura se Paul Newman esistesse, fra l’ilarità generale della famiglia…
La cosa incredibile era che mia madre non subìva il fascino del sublime Paul: credo sia stata l’unica donna al mondo a definirlo insipido e dagli occhi azzurro-slavato (“non come tuo padre che li ha blu!”)… E’ facile, dunque, immaginare il ringalluzzirsi di papà e la sufficienza di mia madre, di fronte al mio atteggiamento adorante. Ma non finisce qui. Quando frequentavo l’Università, i posters nella mia camera erano: uno gigantesco di Paul Newman e uno di grandezza più normale, di Sylvester Stallone. Lorenzo, il mio fidanzato di allora era talmente geloso di quello si Paul Newman che, in una giornata non molto bonaria, avrebbe voluto strapparlo: in un accesso di dispetto, mi disse addirittura che non lo avevo mai guardato come guardavo quel poster! Lì, le risate me le feci io, cominciando a capire il lato profondamente umano degli uomini che, normalmente, si sentono eroi (il mio fidanzato di allora era anche un carabiniere paracadutista…)…
In ogni caso, ilarità e gelosie varie a parte, Paul Newman mi ha sempre accompagnata come una specie di nume tutelare. Ho sempre intuito di lui una personalità molto forte, di opposizione al sistema hollywoodiano e di antidivismo per eccellenza. Lo deducevo dal fatto che, nei suoi film, che guardavo con attenzione maniacale, i suoi primi piani durassero poco, rispetto ai primi piani degli atri attori del suo tempo. Essendo patita di cinema, TV, teatro, fin dall’acquisto della TV in casa mia (maggio 1969), mi concentravo spesso, su tante cose e poi scrivevo. Ho decine di quaderni su cui annotavo le mie impressioni dopo un film: ciò ha contribuito a sviluppare ed esercitare continuamente la mia memoria, già infallibile per natura. Solo nel 2010, grazie a mio fratello, che mi regalò la biografia di Paul Newman più dettagliata mai scritta, scoprii che, proprio nei contratti, egli pretendeva fosse indicata la durata dei suoi primi piani, perché detestava lo sfruttamento della sua immagine (con mio grande rammarico, a dire il vero!) e non voleva che la concentrazione dello spettatore, sulla trama del film, fosse dai suoi occhi color mare! A dir poco, un genio. Fu con questo stratagemma personale, che riuscì a far avere successo persino a quei film a cui accettava di partecipare, anche solo per sfida.
Nella biografia: PAUL NEWMAN – UNA VITA, di Shawn Levy, scoprii che la famiglia Newman professasse ebraica. A pag. 29 del libro, si legge: “Per tutta la vita, Arthur [il padre di Paul] appartenne alla comunità della sinagoga THE TEMPLE, nella vecchia zona ebraica di Woodland Avenue, a Cleveland Ovest”. Nella stessa pagina, si legge che lo stesso Paul ricordasse di suo padre: “Non era un uomo religioso, tanto da andare sempre in sinagoga o inculcare troppo la religione nelle nostre teste, ma frequentò sempre il Tempio.”. A pag.30, leggiamo che Paul, non avendo ricevuto un insegnamento religioso rigoroso, in tutta la sua vita si considerò un ebreo senza fede formale.
Nel guardare una delle rare foto di Paul bambino, viene da pensare che egli avrebbe potuto essere uno dei perseguitati dal regime nazista, se un suo avo, di origine ungherese, non avesse deciso di emigrare in America, nella metà degli anni ’50 del XIX secolo… Sempre a pag.30 del libro già citato, leggiamo: “I Newman rappresentavano l’incarnazione archetipica degli immigrati ebrei intelligenti e di successo”. Grandi lavoratori, la cui caparbietà venne trasmessa a Paul che, in tutta la sua vita, si dedicò a qualsiasi attività, cinematografica o meno, con una diligenza, una forza di volontà e una tenacia, davvero non comuni. Fu definito l’uomo più bello del mondo, ma non sopportò mai questa definizione. Nell’intervista concessa ad Oriana Fallaci, nel 1963, in occasione della Mostra del Cinema di Venezia, fu particolarmente scostante, in contrasto con l’atteggiamento insolitamente adorante (come il mio) di lei ed ebbe a dire: “Che merito c’è ad essere belli? La bellezza ce la regala la mamma, o il buon Dio: non si conquista. E questa odiosa esigenza del cinema, essere belli, dà una tale angoscia!” E ancora, sempre nella stessa intervista: PAUL NEWMAN: – E’ bello porsi dinanzi alla macchina da presa sapendo che quel personaggio puoi renderlo in cinque modi diversi, non è bello camminare per strada e sentir dire: “Pss! Pss! Quello è Paul Newman!”. E’ bello entrare in un ristorante affollato e trovar subito un tavolo libero, non è bello esser guardati col sopracciglio rialzato come sta facendo lei! [Se avesse visto la mia bocca aperta e mia madre che me la chiudeva, ma che, poi, puntualmente, si riapriva, di sicuro, il grande Paul mi avrebbe snobbata!] ORIANA FALLACI: – Sono travolta dall’ammirazione, ecco tutto. PAUL NEWMAN: – No. Dalla convinzione di avere a che fare con uno scemo. E’ bello, quindi è scemo! Pausa di costernata riflessione… Questo suo antidivismo lo portò a cercare strade sempre nuove, nel cinema e fuori dal cinema (fu campione di automobilismo, Formula 2). E fu un uomo che soffrì molto: perse un figlio, l’unico figlio maschio, Scott, a causa della droga (anche se un biografo americano, Lawrence Quirk afferma che si trattò di suicidio). Ed ebbe, incredibile, ma vero, un’ammirazione spropositata per Marlon Brando, sentendosi persino, in parte complessato. Nell’ intervista già citata, nervosamente, ebbe a dire, in proposito: “Qual è la principale qualità di Marlon Brando? […] Glielo dico io, qual è: è la capacità di rottura, è bruciare come un vulcano che sta per esplodere. E’ l’essere Brando e nient’altro che Brando, vale a dire il miglior attore che abbiamo negli Stati Uniti. E tuttavia restare Brando. […] Ma io non ho la capacità di rottura che ha Marlon, io non sono sempre io.” … Ho ideato questo scritto su Paul Newman, nel giorno del suo genetliaco: era nato il 26 gennaio 1925. Morì il 26 (ricorre sempre questo numero) settembre del 2008. E oggi, 19 febbraio, lo riprendo. Pur considerato uno dei più grandi attori del cinema americano, con alle spalle una carriera strepitosa (tre Oscar, sei Golden Globe, un Emmy Award, la Stella sulla Walk of Fame di Hollywood e l’Oscar alla carriera, fra i più alti riconoscimenti) e pur essendo stato uno dei più grandi benefattori di Hollywood, la sua morte fu rivelata in sordina e nulla fu fatto, in Italia, per celebrarlo degnamente: i canali televisivi trasmettono imbecillità di ogni tipo e film insulsi di ogni genere, eppure pochissimi sono i film con Paul Newman . Morì di cancro ai polmoni. E tre giorni prima della sua morte, volle tornare a casa, per non lasciare questa terra da un luogo inospitale, quale definiva il nosocomio in cui era ricoverato. Le sue ultime parole non furono di sofferenza, né di angoscia, né di dolore, pur dopo atroci sofferenze, ma: “E’ stato bello essere qui”, a testimonianza del fatto che fosse un uomo entusiasta della vita, ma estremamente semplice, come aveva rivelato, sempre nell’intervista concessa alla Fallaci: “E’ che io non funziono bene fra la gente, gli applausi, la curiosità: tutto ciò […] mi dà angoscia, imbarazzo […] e questa glorificazione ingiustificata per colui che interpreta un ruolo nei film è, perlomeno, ridicola”…
Che il Cielo voglia darci ancora persone come te, grande Paul: d semplici attori ne abbiamo fin troppi!

Maria Palazzo.
(I brani dell’intervista con Oriana Fallaci, sono tratti dalla redazione del sito: www.key4biz, 1° settembre 2015, ore 11,39)