Oggi scendono in campo Inter e Juventus. Spulciando fra i miei archivi ho trovato un mio vecchio pezzo che riguarda questa affascinante e interminabile sfida del calcio italiano. Vi giro di seguito parte di quell’articolo. Juventus – Inter non è un incontro, è l’incontro. Il derby d’Italia mantiene alto il suo fascino, procede senza sosta da quasi un secolo e anima il dibattito sportivo italiano da sempre. Se nel nostro Paese dici Coppi subito qualcuno pensa a Bartali, se dici Juve si pensa all’Inter e viceversa: un’accoppiata vincente. Ricordo ancora le figurine di Sandro Mazzola e Giacinto Facchetti dell’album Panini, così come quelle di Causio e Zoff (quest’ultima valeva qualcosa in più perché abbastanza rara). E mi vengono in mente gli incontri della nazionale quando noi nerazzurri contavamo le presenze di juventini in campo e ci dolevamo nel pensare che buona parte dell’ultima coppa del mondo era firmata bianconera. Fortunatamente c’era “Spillo” a tenere alto il nostro orgoglio con il terzo gol alla Germania in quella indimenticabile serata all’ “Estadio Santiago Bernabeu”. Quando poi cominciarono i passaggi da un club all’altro, con troppa frequenza, di alcuni storici calciatori, sembrò crollarmi il mondo addosso: il calcio italiano stava cambiando e forse cominciava a piacermi meno. Trascorreva il tempo e l’unico a restare coerente con i suoi colori era Beppe Bergomi. Il giovanissimo campione del mondo a cui la Provvidenza non aveva voluto regalare un gran talento ai piedi, ha rappresentato l’ultimo ventennio nerazzurro e con esso quello del calcio italiano. Intelligente e sagace, Bergomi può essere inserito fra i nomi che resteranno nella storia del calcio nerazzurro. Ma Beppe non gioca più ed è così anche per Evaristo Beccalossi, strepitoso quanto incompreso, a volte forse colpevolmente, fantasista. Non ci sono più Zbwienek Boniek e Michel Platinì. Hanno lasciato il posto negli anni a Nedved, Del Piero, Ronaldo e Batistuta e chissà quanti ancora. Forse troppi. Hanno ceduto il passo ad un calcio più atletico e dai diversi toni di spettacolo rispetto ad un tempo. Un football frutto più di interessi miliardari che si concentrano sui singoli calciatori e trascurano lo spirito d’appartenenza di ognuno di essi. Oggi i goleador esultano per il gol fatto alla squadra X e l’anno successivo scendono in campo a difendere i colori di quest’ultima. Un esempio che, purtroppo, sta diffondendosi anche nei campionati dilettanti. E qui la cosa fa più senso. Con al loro seguito società calcistiche rivali da sempre seppur confinanti a poche decine di chilometri, assistiamo ad un continuo cambio di casacca da parte dei nostri beniamini del calcio locale. Un modo di fare sport che non va certo elogiato e non rappresenta un buon esempio per chi vuole, attraverso lo sport, insegnare ai giovani quei valori che non sono certo quelli del “contratto migliore”. Non è più il cacio di una volta, insomma. Quello degli anni ’80, per quel che mi riguarda. Rimane però sempre il derby d’Italia a suscitare interesse. Di esso, di quelle emozioni che ci trasmette due volte all’anno, resta da parlare…”. Fabio Guarna