In occasione dell’avvio del Festival di Sanremo 2024, ci immergiamo in un tuffo nostalgico nella storia musicale e culturale italiana, rivisitando un articolo del 1968 scritto da Vincenzo Guarna su “Sentiero Calabro”. Guarna, con un’ironia sottile e pungente, analizza i testi del Festival del ’68, offrendoci uno sguardo critico e al contempo divertente sui temi, le emozioni e le narrazioni di quel periodo. L’articolo non è solo un ricordo della musica di un tempo, ma una riflessione sui valori e i cambiamenti culturali dell’Italia di fine anni ’60. A questo punto viene da chiederci: i testi del Festival 2024 come riflettono le sfide odierne? Per il momento, lasciamoci alle spalle le complessità del presente e godiamoci un po’ della brillante ironia di Guarna del 1968… e, chi lo sa, forse potremmo tentare di leggere anche i testi del 2024 con un pizzico di quella stessa ironia e magari concludere che l’arte si nasconde nel non detto, nel non scritto, nel non pensato.
Note critiche in margine ai testi del FESTIVAL di Sanremo (1968)
di Vincenzo Guarna
Ingrato mestiere quello del critico militante che preso e travolto nelle spire dell’attualità e dell’impegno sogna invano uno spazio vuoto nella sua vita nel quale raccogliersi e riascoltare, senza l’assillo di un giudizio da formulare a tutti i costi e subito, le antiche voci degli antichi scrittori.
Ingrato mestiere, dicevo, peraltro ricompensato ad abundantiam quando lungo la “routine” delle sue letture si fa spazio e si rivela in tutto il suo splendore qualche documento di autentica e grande poesia.
Allora ogni noia e ogni rimpianto si esauriscono e muoiono mentre dalle loro ceneri emerge la umile e felice consapevolezza – fatta proposta e segnalazione – che la letteratura e, per essa, la storia, si sono arricchite di un imperituro patrimonio di umanità. Tale è la nostra condizione a lettura ultimata de “I TESTI DELLE CANZONI DELLA PRIMA SERATA A SANREMO” (in Sorrisi e Canzoni TV, anno XVII n. 5 del 4 febbraio 1968, pp. 14-17). Sono testi realizzati (diversamente da quelli dei festivals immediatamente precedenti) nella misura del “disimpegno”. Come dire che gli autori, messa decisamente da parte la problematica strettamente contingente del nostro tempo, cioè la pace, la guerra, le ingiustizie sociali etc. sono tornati ai grandi temi dell’amore, dell’odio, della gelosia, del rimpianto degli anni perduti dell’infanzia etc., temi alle cui sorgenti perenni ha attinto la poesia di tutte le età. “Da bambino il bene più grande che hai / è l’ingenuità…” cantano Pradella-Angiolini, e concludono con versi di solare potenza: “Da bambino / scopri il sole / ma da uomo ha l’amore…”. Ancora il dramma dell’infanzia perduta è in CASA BIANCA del duo Don Backy-Detto Mariano: “C’è una casa bianca / che io mai la scorderò…” dice l’esordio nel quale l’anacoluto felicemente si sposa, nella sua misura di licenza poetica, con la forza del sentimento trascolorando nella dolcezza dei versi seguenti: “mi è rimasta dentro il cuore / con la mia gioventù…”.
Si disinganni il lettore che ha visto in questi versi il dolore di Jacqueline Kennedy privata, per l’uccisione del Presidente, appunto della Casa Bianca; di quale casa si tratti, nella fattispecie è presto detto: “quella casa bianca che / non vorrebbero lasciare / è la loro gioventù…”. Al drammatico tema dell’amore non corrisposto si rifanno invece Terzi e Sili: “Ma tu non sorridi mai / e non mi guardi mai / non mi fai vivere…”. Sostiene il Croce che la poesia è un fatto precedente alla ragione, grado fantastico dell’attività teoretica dello spirito; conoscenza intuitiva e alogica. Il critico marxita Della Volpe obietta che non si può parlare in astratto di arte e che ogni definizione della stessa, per dimostrarsi feconda, deve muovere da un concreto poetico da realizzarsi nella “compresenza effettiva del fenomeno problematizzato”. La poesia in discorso mostra puntualmente e la validità della obiezione del Della Volpe e la sterilità della tesi crociana: “Dicono / che da un sorriso / può cominciare l’amore…”, premettono, ragionando, il Terzi e il Sili, di poi, con rigore sillogistico veramente degno della mentet sovrana di Aristotile, concludono con questi profondi versi in cui non sai se più ammirare la validità estetica o l’acutezza concettuale: “ma tu che non sorridi mai / se è vero che mi vuoi / mi dovrai sorridere…”- Come si vede, filosofia e arte si sposano in feconda sintesi. Altrove una sottile vena di sensualità s’insinua tra verso e verso suscitando vibrazioni lungo le quali il gioco dei traslati lessicali, evocando l’immagine del grande vento del nord risolve in una sfumatura di scanzonata malinconia i precari confini fra lo spirito e la carne: “mi piaccion le donne di tutto il mondo / e per il pizzo di una sottana / perdo spesso la tramontana…”. (LA TRAMONTANA di Pace-Panzeri p. 16). Altrove un oscuro tremito masochista, un medioevale “cupio dissolvi” s’innesta nel motivo amoroso lasciando intravedere gli abissi di perdizione verso i quali la civiltà dei consumi, nella sua misura neomatriarcale, sta avviando l’uomo moderno: “sono lo scendiletto / su cui cammini tu / cammini a piedi nudi / fin da quando ti svegli al mattino…” (Il Posto mio, di Tesca-Renis, p. 17)- A questo punto il lettore sprovveduto s’aspetta, da parte dell’uomo, una reazione; si disilluda: “per me che t’amo tanto / sei giusta come sei” (ibidem). Quale oscura forza, adunque, lo tiene schiavo? E’ la gelosia, una gelosia ossessiva pronta a scattare persino dinnanzi alle ipotesi interne a certi modi di dire ormai entrati nell’uso corrente “vorrei vedere un altro / al posto mio / ma no, non ne parliamo…”. Quindi il dramma si consuma in queste rassegnate parole la cui forza vitale sta proprio nel tono dimesso: “il posto è mio / anzi ti chiedo scusa / mi son sfogato un poco / ma sai che al posto mio io resterò…” (ibidem). “E’ uno dei migliori testi del festival” osserva in margine alla lirica lo scoliaste di SORRISI E CANZONI (p. 17). Gliene diamo atto senz’altro esprimendo a questo punto, il profondo rammarico di non poterci permettere, per la tirannia dello spazio, ulteriori citazioni e rilievi. Ma se lo spazio manca a noi non manca alla TV. Ancora poche ore e l’intero festival, mentore il dotto Pippo Baudo, sarà nelle nostre case. Mentre rimandiamo ad esso il lettore, formuliamo una profezia: i versi citati e gli altri rimasti nella penna avranno fortuna, risuoneranno dai bar, dai lidi, dalle case, invaderanno le strade. Sicura testimonianza, per un verso, del loro valore e per l’altra della maturità artistica e letteraria del popolo italiano.
Vincenzo Guarna (Sentiero Calabro, anno VIII – n. 3 – 6 febbraio 1968)