Per chi ha studiato al liceo classico, come chi sta battendo questo pezzo, la Giornata Internazionale della Lingua Greca rappresenta un’occasione per riflettere non solo sui saperi e sulla cultura classica, ma anche su una parte della propria vita che ritorna alla mente. Istituita recentemente, questa celebrazione affonda le sue radici nella memoria collettiva di un patrimonio linguistico e intellettuale che ha attraversato i secoli, resistendo alle tempeste del tempo. Ma prima ancora che il pensiero vada ai filosofi, ai tragici e agli storici dell’antica Ellade, l’immagine che emerge a chi scrive è un’altra: un viaggio indietro nel tempo, alle aule fredde del liceo classico frequentato, dove i rigidi inverni erano affrontati con mezzi di fortuna e lo studio si accompagnava allo scorrere delle penne sui quaderni. Oggi ci sono i tablet per prendere appunti… e ci sono i riscaldamenti. Ma parliamo del Greco. L’inizio dello studio disorienta: la prima volta che si incontra l’alfabeto, con quelle lettere dalla forma insolita e misteriosa, si prova un senso di smarrimento. Presto, però, arriva il momento in cui tutto si illumina: la prima parola tradotta, il primo segno che prende senso. E capisci che non sono solo lettere, ma porte spalancate su mondi nuovi. Da quell’istante, ogni versione dal greco diventa una piccola conquista, un gioco di Tetris in cui ogni termine e ogni verbo si incastrano alla perfezione, regalando un senso di soddisfazione difficile da descrivere. L’importanza del greco antico, d’altronde, va ben oltre il mondo della scuola. È una lingua che ha dato forma al pensiero occidentale, ha reso possibile la filosofia, la matematica, la medicina e tanto altro. Per chi ha studiato il greco, non è solo un insieme di regole e parole, ma una chiave che apre a un modo diverso di vedere il mondo, più profondo e reale. Inoltre, per chi batte queste righe, c’è un legame personale, radicato alle proprie origini, ma non per questo meno significativo: quello tra il greco e il dialetto calabrese. Non è raro, in Calabria, sentire parole e suoni che conservano la traccia di un passato remoto, un’eredità linguistica che sopravvive nei secoli. Una in particolare mi viene in mente, su cui ho letto un “piccolo capolavoro” (link – clicca qui per leggerlo) , e affiora con forza : oicomai, un verbo greco antico che significa “me ne vado” o, con un’accezione più intima, “torno a casa”. In dialetto calabrese si traduce con mi ricogghiu, un’espressione di eleganza pura che racchiude il senso di un ritorno non solo fisico, ma anche interiore. E ancora, il greco è anche un ponte verso il latino, quell’altra colonna portante dell’educazione classica. Chi ha studiato entrambe le lingue sa che esse dialogano costantemente, si riflettono l’una nell’altra. La mia passione per gli scacchi, da poco riemersa, forse nasce proprio da loro. Perché, come negli scacchi, dove ogni mossa è il frutto di un ragionamento attento e di una logica che si affina con il tempo, così lo studio delle lingue classiche rafforza il pensiero strategico, la capacità di anticipare, di scomporre e ricostruire, di intuire schemi e concatenazioni di senso. La Giornata della Lingua Greca ci ricorda che quel mondo antico vive ancora in chi ha avuto la fortuna di scoprirlo. E così, mentre il mondo corre veloce tra nuove tecnologie e linguaggi sempre più sintetici, il greco antico resta saldo come una colonna dorica, a ricordarci che la vera grandezza non sta solo nella velocità, ma anche nella profondità con cui si sanno interpretare le cose. Un’ultima annotazione: quando qualcuno, da autodidatta, studia il greco antico con impegno e dedizione, fino addirittura a padroneggiarlo meglio di chi lo ha studiato a scuola, non si può che riconoscerne la passione e l’intelligenza. Purtroppo, questo sforzo si scontra spesso con una società che si è allontanata dalle buone pratiche, lasciando che la ricchezza di un sapere antico resti apprezzata solo da pochi.
Fabio Guarna