Il tramonto sul mare: l’ultimo, prima della morte del Papa

Proprio ieri sera, mi trovavo su un tratto di costa della Calabria dove il mare guarda a occidente. Era il momento in cui il sole scende lentamente sull’acqua, tingendo l’orizzonte di luce calda. Mi sono fermato a guardare. Da quella costa, il tramonto sembra un ponte tra cielo e mare, non una fine, ma un passaggio. Allora non lo potevo immaginare, ma sarebbe stato l’ultimo prima della morte del Papa. La notizia l’ho appresa la mattina seguente: Papa Francesco era morto alle 7.35. In quel momento, ripensando a ciò che avevo visto la sera prima, ho cominciato a leggere, ad ascoltare, a raccogliere i tanti commenti, articoli e riflessioni che iniziavano a circolare. Uno di questi, apparso sul Corriere, aveva questo incipit: “Isola di Sanciano, 3 dicembre 1552, poco dopo mezzanotte: in una capanna, vegliato da un amico cinese, Francesco Saverio, primo missionario gesuita, muore guardando la Cina, il sogno di una vita distante un paio di miglia marine” — e poi il testo proseguiva spiegando che l’omelia pronunciata da Papa Francesco il 31 luglio 2013, a pochi mesi dal suo insediamento, nella Chiesa del Gesù in occasione della festa del fondatore dei Gesuiti, San Ignazio di Loyola, parlava proprio di Francesco Saverio. Il Pontefice, disse che a lui faceva bene pensare a quel “tramonto del gesuita”: finire la propria corsa senza nulla, ma davanti al Signore. L’arte lo ha dipinto tante volte questo tramonto, questo finale di Saverio… Alla fine, senza niente, ma davanti al Signore. A me fa bene, pensare questo”. Una scena, quella del gesuita morente con lo sguardo rivolto al suo sogno mai raggiunto, che è diventata nel tempo immagine ricorrente dell’arte e della spiritualità: semplice e potente, come il senso ultimo di una vocazione vissuta fino in fondo. Allora il tramonto che avevo vissuto ha assunto un altro significato. Non era solo un bel momento da fotografare. Era un simbolo. Senza saperlo, avevo guardato l’ultimo tramonto prima che finisse il pontificato di Francesco, prima che il suo tempo sulla terra si spegnesse. Io vivo sullo Ionio, dove il sole sorge sul mare. Ma ieri ero sul Tirreno, dove il sole vi tramonta. Forse per questo, quella luce morente mi ha colpito più del solito. E ora, a posteriori, assume un significato. A fine dicembre, ero stato a Roma per l’apertura del Giubileo, la cui Porta Santa è stata aperta proprio da Bergoglio. Dopo una visita in Vaticano, mi sono fermato nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Sentivo che dovevo sostare. In quella penombra che sapeva di incenso e secoli, ho trovato un confessionale. Mi sono seduto. E ho detto ciò che andava detto. Solo ora scopro, tra le notizie che si rincorrono in queste ore, che proprio lì, in quella basilica, Papa Francesco ha chiesto di essere sepolto. Quel gesto semplice, ora sembra un frammento di un disegno più grande. Papa Francesco è stato il primo gesuita a diventare Papa. Il suo pontificato ha parlato attraverso la sobrietà, l’inquietudine, le domande, gli appelli, la chiarezza, l’umiltà. Se ne va con la stessa coerenza con cui ha vissuto. E mentre ripenso a quel tramonto, immagino che anche lui, come il suo confratello Saverio, abbia rivolto lo sguardo al sogno di una Chiesa più umile, più vicina, più umana. Ci sono immagini che ci accompagnano senza spiegarsi, e spesso certe coincidenze — un tramonto osservato lontano da casa, una morte avvenuta la mattina dopo, un commento letto — ci restituiscono un senso più profondo del tempo. E se è così, allora il mio tramonto di ieri era una preghiera.

Fabio Guarna