Divagazioni: quando la penna scappa

Una collega qualche giorno fa mi ha rivelato di leggere con piacere tutti i miei scritti. “Anche quelli sull’Inter”, ha aggiunto con un sorriso, come a scusarsi con se stessa prima ancora che con me. Detta così, lo ammetto, suona come una piccola stoccata ai nerazzurri, ma in verità il senso andava cercato altrove: lei, lo sport, semplicemente non lo segue. E quindi – sia stata Inter o un’altra squadra – la deviazione dal tipo di lettura consueta è dovuta al sottoscritto. Io mi sono sorpreso, ma sono stato sinceramente felice di questa piccola eccezione. Non tanto perché riguardasse la mia squadra, quanto perché è passata attraverso le mie parole. E allora scrivo, scrivo nonostante tutto. Nonostante i giorni rubati al sonno, i pensieri lasciati a metà, quella costante sensazione di incompiutezza che mi accompagna come una firma invisibile su ogni cosa che faccio. Eppure, se c’è un mestiere che avrei fatto con tutta la passione possibile – e forse anche con una certa disciplina, se solo mi fossi concesso il privilegio di crederci davvero – è proprio quello del giornalista. Non che mi manchino le occasioni: mi consola sapere che qualche testata accoglierebbe volentieri i miei pezzi, che sui social e nei blog riesco ancora a ritagliarmi uno spazio mio. Il giornalismo è stato il mio primo amore: basta sfogliare i vecchi diari del ginnasio, dove fra le versioni di greco e i disegni improvvisati si annidavano cronache scolastiche, editoriali indirizzati agli insegnanti e ai compagni di classe, che si concludevano con f.g. Ma c’è un tempo per tutto, e ora il tempo è, più che mai, una risorsa rara. Comunque, quando posso, continuo a scrivere, come adesso, e se qualcuno ha la pazienza di leggere, spero di meritarmi quei pochi minuti di intrattenimento. Allora, mi dico, se la penna scappa, che scappi pure. E quindi, se sono riuscito a regalare alla mia squadra l’attenzione di chi non è sportivo, tento di destarla su di me in versione sportiva. Non si tratta di autocelebrazione – per carità, mi conosco – ma della narrazione (spudoratamente indulgente) di una vecchia foto, che mi è capitata davanti quasi per caso e mi ha offerto l’occasione di scrivere queste righe. Una di quelle immagini che oggi si direbbero “rubate” e che invece erano costruite con pazienza e rullino da sviluppare. Io ci sono dentro mentre taglio il traguardo alla pista dello stadio di Montepaone, diversi anni fa. A scattare, Alfonso, amico d’infanzia e podista con tempi di buon livello nella mezza maratona e maratona, che ancora oggi corre e fotografa, anche se non più in Italia. Quel giorno, cronometro alla mano, feci 11” e 90 sui 100 metri. Fra i 12” e i 13” ci arrivavo facilmente. Un tempo che per un dilettante era più che rispettabile, forse per merito del fatto che mi allenavo in altri sport con una dedizione quasi professionale, ma senza mai perdere il gusto del gioco. Quali erano gli altri sport? Presto detto… Nel tennis avevo trovato una passione seria: giocavo la Coppa Italia e, ancora minorenne, avevo raggiunto la Serie C. Racchette incordate con cura, terra rossa sotto le suole, o suole consumatissime per i terreni duri, nonché partite combattute fino all’ultimo scambio: mi allenavo con costanza, perché il campo per me era anche una forma di rigore mentale. Prima ancora, nel calcio, ero un’ala sinistra sgusciante, numero 11 sulle spalle, nella gloriosa squadra del Blu Bar (Presidente Adriano, Allenatore Walter), categoria esordienti. Il ruolo mi calzava a pennello: corsa rapida, dribbling e il gusto di creare scompiglio sulla fascia con tacchetti contromano alla Bruno Conti. Poi, con il tempo, dopo gli allievi, ho virato verso l’arbitraggio, non per allontanarmi dal campo, ma per continuarci a stare con un altro sguardo, più attento, più critico, più imparziale. E quando non ero con la racchetta in mano né col fischietto, ero in sella. Il ciclismo era un altro capitolo della mia vita sportiva: le uscite in gruppo, le sfide tra amici, le salite ardite, prese come metafore di vita, e le discese da affrontare con fiato sospeso (ho già scritto qualcosa in merito, recentemente!). Un modo per conoscere il territorio, ma anche me stesso. Insomma, uno sportivo. Non da copertina, ma vero. Di quelli che la sera tornavano a casa con la maglietta bagnata, e le ginocchia sbucciate. Oggi guardo quella foto e sorrido. Non tanto per il tempo segnato sul cronometro, ma per l’ingenuità preziosa di chi vive senza sapere che quei giorni saranno un giorno da ricordare. E se la penna oggi scappa su queste righe, lasciamola correre. Del resto, per uno che ha corso, anche scrivere è un modo per sentirsi ancora in pista e arrivare al traguardo… E chissà se qualcuno è arrivato fin qui, diventando come il “fotografo” in pista: testimone dell’intera prova !!

Fabio Guarna