Sera di sabato 31 maggio 2025, a Monaco di Baviera, si gioca una finale. Ma non una qualsiasi. Si gioca la partita delle partite. L’Inter affronterà il Paris Saint-Germain nella finale di Champions League, ma in realtà si tratta di molto di più. Chi vive davvero il calcio lo sa e chi lo segue meno lo intuisce: è una sfida che parla di carattere, di stile, di scelte coraggiose. C’è una canzone di Francesco De Gregori, La leva calcistica della classe ’68, che ritorna sempre nei momenti in cui il pallone smette di essere solo uno sport e diventa una metafora della vita. In quella canzone, al giovanissimo Nino viene detto: “Nino, non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore…” Una frase semplice, ma che custodisce dentro di sé una verità nobile. Il rigore, nella sua apparente immobilità, è in realtà l’istante più mobile e più sincero che ci sia nel calcio. È la vita che ti guarda negli occhi e ti chiede: “Hai il coraggio di tentare? Provaci, anche se puoi sbagliare!” A Monaco, l’Inter sarà chiamata a questo: non avere paura del rigore. Non inteso come episodio tecnico – anche se potrebbe arrivare anche quello, chissà (addirittura potrebbe decidersi il match ai rigori) – ma come simbolo profondo dell’animo. Il rigore è il momento in cui si resta soli. Come quando si deve scegliere se cambiare qualcosa nella propria esistenza. Come quando un sogno si può prendere… oppure lasciare lì, per timore. È il momento in cui non puoi più delegare: devi metterti in gioco. E allora penseremo al coraggio di Lautaro, che spesso è il primo a caricarsi il peso dell’attacco, non solo con i piedi, ma con lo sguardo. Penseremo a Sommer, il portiere che non è solo pronto a parate miracolose, ma anche a dare una prima impostazione di gioco alla squadra. E penseremo a Barella, che è l’emblema di quel calcio che lotta, cade e si rialza senza perdere mai eleganza e misura. E a tutta la squadra, allenatore in testa. A ognuno il suo rigore, verrebbe da dire. L’Inter arriva a questa finale con il peso della sua storia e la leggerezza di chi sa ancora sognare. Ci sono squadre che puntano tutto sulla tecnica, sul possesso, sul fuoriclasse. E poi ci sono le squadre che, oltre alla tecnica, ci mettono anche il cuore e – come accaduto all’Inter contro il Barcellona in semifinale – capiscono che in certi momenti bisogna puntare soprattutto su quest’ultimo. L’Inter – quando è veramente Inter – è così. Ecco perché, sabato non sarà solo questione di mettere la palla alle spalle di Donnarumma. Sarà – per dirla con De Gregori – il momento di capire che i sogni non si sprecano, e che bisogna avere la forza di metterli sulla linea del dischetto. Guardarli negli occhi. E decidere di tirare. Perché sì, ci vuole coraggio. Ma anche qualcosa di più profondo, che non si spiega con le parole. Non voglio chiudere solo con una citazione, ma con una scena – dove immagini e voce si fondono in un simbolo potente. Per chi ha visto il film Match Point di Woody Allen, c’è un momento in cui si sente una voce riflettere su quanto la vita – proprio come il tennis – possa dipendere da un solo dettaglio. Una pallina colpisce il nastro e resta lì, sospesa, incerta, come se dovesse decidere da che parte cadere. Se va da un lato, si vince. Se dall’altro, si perde. Un attimo solo può cambiare tutto. E quel rimbalzo, anche se lo chiamiamo fortuna, spesso lo provoca chi ha avuto il coraggio di andare lì… e colpire la palla. Domani tocca all’Inter. Tocca a noi. Senza paura del rigore. Forza Inter!!
Fabio Guarna