Casualmente, ascoltando Blowin’ in the Wind di Bob Dylan, mi sono ritrovato a riflettere. È una canzone molto conosciuta, che capita spesso di fermarsi ad ascoltare. Ti fa pensare a tante cose. Stavolta, colto di sorpresa da quella voce che non forza mai il tono e da quelle domande che restano nell’aria come sospese, ho pensato al contenuto. Ma soprattutto a dove nasce quella musica, quell’autore, quei messaggi. E mi ha ricordato che esiste un’altra America. Quando si parla di United States oggi, il pensiero corre veloce alle solite immagini. Leader sopra le righe, divisioni politiche, tensioni sociali. Notizie che rimbalzano da un continente all’altro con lo stesso copione. Eppure ogni tanto vale la pena fermarsi. E ricordare che esiste — o forse sarebbe meglio dire: è esistita — un’America diversa. Un’America che forse abbiamo dimenticato. Un’America che non aveva bisogno di megafoni, ma di chitarre. Quella delle canzoni di Bob Dylan, di Joan Baez, di Billy Joel, di Bruce Springsteen. Canzoni che parlavano di diritti, di giustizia, di storie di gente comune. Era un’America che parlava anche attraverso la musica. E che con la musica sapeva farsi ascoltare, senza urlare. Non è nostalgia. È solo un modo per non restare prigionieri di un’immagine unica. Come se l’America fosse solo quella delle cronache di oggi. C’è stato un tempo in cui, anche da questa parte dell’oceano, guardavamo a quell’America come a un luogo dove il sogno e il racconto potevano andare a braccetto. E forse, a ben vedere, quell’America non è scomparsa. Resta nascosta, coperta dal frastuono di oggi. Ma continua a suonare. Basta solo volerla sentire.
Fabio Guarna